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Trattamento acquE
TRATTAMENTO ACQUA SANITARIA
Il trattamento dell’acqua in generale rappresenta un numero elevato di interventi possibili, che dipendono sostanzialmente dalla destinazione d’uso, dall’origine, e della composizione dell’acqua stessa. Gli utilizzi, in ambito termosanitario sono principalmente due: per uso sanitario (acqua potabile) e come fluido vettore negli impianti di riscaldamento (acqua tecnica).
Solitamente l’acqua per uso sanitario viene prelevata dalla rete pubblica, quindi è già potabile. La potabilità dell’acqua di acquedotto deve essere garantita obbligatoriamente per legge e pertanto il gestore deve prevedere una serie di pretrattamenti, trattamenti e controlli atti a distribuire in modo sicuro l’acqua alle utenze. Per questa tipologia di acqua è consigliabile una semplice filtrazione fisica ed eventualmente una filtrazione con carbone attivo per eliminare quella percezione di cloro a volte presente nell’acqua pubblica (affinamento).
Se invece l’acqua è di altra origine, nella maggior parte dei casi prelevata da pozzi privati, occorre cambiare l’approccio. E’ infatti impossibile avere un’idea precisa della composizione chimico-fisico-batteriologica senza aver fatto precedentemente delle analisi di laboratorio approfondite. Solo in questo modo è possibile capire se l’acqua di falda è già potabile o se, in caso contrario, quali parametri sono oltre i limiti di legge (DLgs 31/2001) e di conseguenza sono da ridurre con trattamenti specifici. I trattamenti più comuni per le acque di pozzo sono: rimozione del ferro, del manganese, dell’ammoniaca, dell’arsenico, dei nitrati, delle sostanze colloidali in sospensione e della carica batterica.
LA FILTRAZIONE
La filtrazione può essere una semplice filtrazione meccanica a rete, rappresentata dai classici filtri dissabbiatori autopulenti, o a calza. Sono usati soprattutto per rimuovere in modo fisico eventuali presenze di piccoli corpi in sospensione come sabbia, scaglie, ecc. al fine di preservare le apparecchiature e l’impianto posti a valle. La normativa (DM25/12 - DM 443/90) prevede una filtrazione non inferiore a 50μm per escludere il potenziale rischio di proliferazione batterica riscontrabile per filtri al di sotto di tale dimensione.
Tra le altre tipologie di filtro abbiamo i filtri a carbone attivo, usati soprattutto per abbattere il cloro residuo a seguito di un’azione disinfettante con prodotti a base di cloro nelle acque di falda con problemi batterici. Cloro residuo altresì presente nelle acque di acquedotto, impiegato per evitare proliferazioni lungo la rete di distribuzione.
Si hanno poi filtri per la rimozione specifica di particolari sostanze, come potrebbe essere il ferro, il manganese e l’arsenico. Quest’ultimo è un parametro di recente interesse vista l’opposizione dal 1° gennaio 2013, da parte dell’Unione Europea, della deroga del limite richiesto dall’Italia di 50μm/l invece di 10μm/l imposto anche nel DLgs 31/2001. Tuttavia molti gestori pubblici non riescono ancora a rispettare tali limiti e di conseguenza spesso accade di dover trattare l’arsenico anche nelle acque di rete.
Esiste poi la possibilità di filtrare l’acqua in modo ancora più spinto attraverso la filtrazione con membrane ad osmosi inversa. Tali apparecchiature sono da consigliare dove effettivamente serve una filtrazione molto spinta e una rimozione drastica di quasi tutte le componenti presenti nell’acqua.
SISTEMI DI POTABILIZZAZIONE
Parlando specificatamente di acqua ad uso potabile, occorre distinguere, come già anticipato, tra acqua di acquedotto e acqua di pozzo. Per quest’ultima le analisi di laboratorio sono necessarie e obbligatorie per capire se un’acqua è già idonea al consumo umano oppure se necessita di trattamenti per renderla tale. Gli interventi di potabilizzazione di un’acqua di falda dipendono quindi da quali e quanti sono i parametri oltre il valore limite. Esistono filtri a colonna specifici per rimuovere il ferro e il manganese, sistemi di clorazione per disinfettare l’acqua con problemi batterici o per ossidare l’ammoniaca, filtri per rimuovere l’arsenico (molto presente nelle falde mantovane, emiliane e della bassa veronese), sistemi di debatterizzazione con raggi ultravioletti e la filtrazione ad osmosi inversa, la quale con un abbattimento quasi indistinto di tutti i composti presenti, permette di avere un’acqua potabile anche con numerosi parametri oltre i limiti in ingresso.
L’osmosi inversa, tuttavia, ha due controindicazioni da tenere sempre in considerazione: la prima è che oltre ai parametri fuori limite si ha anche l’abbattimento delle sostanze utili al corpo umano; la seconda è lo scarico. Essendo, infatti, una filtrazione tangenziale, con scorrimento dell’acqua lungo la membrana osmotica per rimuovere il trattenuto, si ha una certa percentuale di scarico che rappresenta in alcuni casi anche il doppio, o il triplo, dell’acqua trattata.
Se invece l’acqua è di acquedotto, allora per definizione è già potabile e pertanto ogni trattamento aggiuntivo volto a potabilizzare l’acqua da bere è da considerare superfluo. Eventuale trattamento può essere consigliato solo per affinamento della qualità dell’acqua, con l’obiettivo di intercettare eventuali particelle solide (sabbie o piccole scaglie metalliche) che a volte si possono trovare nella rete, o per eliminare il sapore sgradevole dovuto alla presenza di cloro residuo dosato anche dal gestore per mantenere l’acqua priva di batteri.
Tuttavia esistono casi particolari che portano al trattamento spinto anche dell’acqua di rete e parliamo sostanzialmente di impianti industriali con apparecchiature che necessitano di acque particolari (per es. generatori di vapore, sistemi di umidificazione, torri evaporative, ecc.) oppure di rare circostanze con acquedotti mal gestiti che non garantiscono l’assoluta potabilità dell’acqua erogata.
Addolcimento
Dal punto di vista chimico addolcire l’acqua significa togliere i sali di calcio e magnesio, sostanze che rappresentano la durezza e che di conseguenza provocano le incrostazioni di calcare all’interno degli impianti termosanitari. Per poter rimuovere tali sostanze, l’acqua viene fatta filtrare attraverso un letto di resine sintetiche a scambio cationico, le quali trattengono gli ioni di calcio e di magnesio rilasciando, nello scambio, ioni sodio.
Quando le resine sono esauste, ovvero hanno esaurito il loro potere di scambio e quindi non riescono più a trattenere calcio e magnesio, occorre rigenerarle, lavandole con una soluzione di acqua e sale, la salamoia. In questo modo si va a ripristinare il sodio precedentemente perso con lo scambio ionico e di conseguenza si avrà il rilascio del calcio e magnesio prima trattenuti, che andranno inviati a scarico.
Quindi le componenti principali di un addolcitore sono: la bombola, contenente le resine sintetiche; la valvola, che gestisce i flussi, la fase di esercizio e la rigenerazione; il tino contenente la salamoia.
L’addolcimento, rimuovendo il calcare, permette di avere una serie di vantaggi, i più importanti riguardano il mantenimento e la gestione degli impianti termosanitari:
Per quanto riguarda l’addolcimento dell’acqua potabile, si hanno vantaggi trascurabili in quanto il limite della durezza per le acque potabili (50°f, DLgs 31/2001) è notevolmente superiore a quello per la tutela degli impianti (15°f, DLgs 59/2009). Di conseguenza possiamo avere un’acqua da addolcire per quanto riguarda il risparmio energetico, ma ancora potabile e sicuramente non dannosa per il corpo umano.
DIMENSIONAMENTO DI UN ADDOLCITORE
Il dimensionamento di un sistema di addolcimento segue una metodologia oramai assodata che si basa su un calcolo chimico certo, e non teorico, che considera la capacità di scambio ionico delle resine sintetiche. I due dati indispensabili nel dimensionamento sono il consumo d’acqua giornaliero (ovvero il n° di persone da servire se siamo in ambito civile) e la durezza dell’acqua da addolcire espressa in gradi francesi. La formula permette, in questo modo, di determinare il volume di resine necessario per trattare l’acqua considerata:
Dove: - Durin = durezza acqua in ingresso (°f)
- Durout = durezza acqua in uscita (°f)
- N°pax = numero di persone da servire
- Di = consumo pro-capite giornaliero (150 lt/giorno)
- 4 = giorni di un ciclo di rigenerazione (dato dal DM25/12 - DM 443/90)
- 6 = capacità di scambio delle resine
A titolo esemplificativo si riporta di seguito una tabella che riassume, per le situazioni standard più comuni, le resine necessarie in base a durezza e n° di persone. Una volta noto il volume minimo di resine, si potrà determinare il modello di addolcitore più adeguato, valutando anche attentamente le portate di punta richieste dal caso specifico. Occorre poi specificare che il funzionamento di un addolcitore può avvenire secondo le due tipologie di valvole esistenti:
Funzionamento a tempo: la rigenerazione delle resine viene effettuata dalla valvola necessariamente al termine del ciclo di addolcimento prestabilito, solitamente 4 giorni (DM 25/15 - DM 443/90).
Funzionamento a tempo/volume: la rigenerazione delle resine viene effettuata al termine del ciclo prestabilito, 4 giorni, o in base al consumo d’acqua, quindi effettivamente quando le resine hanno addolcito il loro quantitativo massimo di acqua.
Pertanto la prima tipologia di funzionamento può essere consigliata per applicazioni medie standard dove si ha un consumo d’acqua costante durante la settimana, mentre la seconda tipologia quando la richiesta varia notevolmente nell’arco della settimana o della stagione e le resine, di conseguenza, non si esauriscono come previsto dal dimensionamento, ovvero allo scadere del quarto giorno.
Sistemi di dosaggio
Il dosaggio di sostanze chimiche nell’acqua ad uso sanitario può avere numerosi obiettivi, tra i più importanti troviamo la funzione anticalcare, con il dosaggio di polifosfato, e la funzione disinfettante e ossidante, con la clorazione.
Il dosaggio di polifosfato alimentare in polvere, con appositi dosatori proporzionali, o in forma liquida, con pompa dosatrice, permette di immettere nell’acqua il polifosfato (max 5ppm, DLgs 31/01) che impedisce la formazione di bicarbonato di calcio ed anidride carbonica, creando di fatto una prevenzione dei depositi di calcare sui corpi riscaldanti e sulle tubazioni, nonché dei danni dell’effetto corrosivo dell’anidride carbonica (UNI 8065). La differenza, come trattamento anticalcare, tra il dosaggio di polifosfato e l’addolcitore, sta nel fatto che il primo sistema è una protezione passiva, che evita le incrostazioni di calcare senza tuttavia ridurre la durezza dell’acqua, il secondo invece rimuove effettivamente la durezza, abbattendo in modo attivo i sali di calcio e magnesio. Pertanto il polifosfato può rappresentare un compromesso accettabile in piccoli impianti e in presenza di durezze medio-basse, mentre l’addolcitore rimane la soluzione ideale per risolvere il problema alla fonte.
Il dosaggio di cloro con funzione disinfettante si effettua con una pompa dosatrice, la quale immette soluzioni di cloro (ipoclorito di sodio, ipoclorito di calcio, biossido di cloro, o altre sostanze disinfettanti/ossidanti come perossido di idrogeno) al fine di rimuovere la carica batterica eventualmente presente nell’acqua. Successivamente alla clorazione, per garantire la potabilità dell’acqua, occorre rimuovere il cloro residuo ancora presente, attraverso una stazione di filtraggio con carbone attivo.
Il dosaggio di cloro può avere anche una funzione ossidante sfruttata nel trattamento di particolari sostanze, principalmente i metalli. Esso infatti permette di andare ad ossidare il ferro, l’ammoniaca, il manganese, ecc. consentendo poi una facile rimozione di tali composti ossidati con una filtrazione o per volatilità. Anche in questi casi comunque, serve una filtrazione finale con carbone attivo, al fine di rimuovere l’eventuale presenza di cloro residuo, riscontrabile dopo un dosaggio massiccio di cloro.
Legislazione di riferimento per l’acqua ad uso sanitario
La legislazione di riferimento per l’acqua destinata all’uso umano si riassume sostanzialmente in due decreti fondamentali, il DLgs 31/2001 che regolamenta la qualità delle acque destinate al consumo potabile e il DPR 59/2009 che regolamenta il rendimento energetico nell’edilizia.
Il DLgs 31/2001 elenca in modo tabellare tutti i parametri, e i rispettivi valori limite o guida, da rispettare se si vuole classificare l’acqua in questione idonea al consumo umano, quindi principalmente serve di riferimento qualora si volesse rendere potabile un’acqua di pozzo.
Il Decreto 26 giugno 2015 invece, si rivolge agli impianti termosanitari, quindi sia gli impianti che utilizzano l’acqua per il riscaldamento che quelli per acqua calda sanitaria, e indica quali valori di durezza sono ammissibili e quali, in caso contrario, sono i trattamenti da adottare per tutelare gli impianti dalle incrostazioni e, di conseguenza, mantenere elevato il livello della prestazione energetica. Fondamentalmente impone un trattamento di addolcimento con durezza dell’acqua superiore a 15°f e gli impianti di potenza nominale superiore a 100 kW e un trattamento di condizionamento chimico in tutti i casi (dosaggio di polifosfato).
SHAPE \* MERGEFORMAT
Legenda
1) Filtro
2) Dosatore polifosfato
3) Filmante antincrostante
4) Addolcitore
5) Pompa dosatrice di polifosfato
Trattamento acqua di riscaldamento
Il Decreto 26 giugno 2015 prevede anche una serie di casistiche per quanto riguarda gli impianti che utilizzano acqua per solo riscaldamento. Analogamente al caso precedente, è obbligatorio caricare l’impianto con acqua addolcita con potenza di impianto superiore a 100 kW e durezza superiore ai 15°f. E’ sempre obbligatorio condizionare chimicamente l’acqua di riscaldamento (dosaggio di protettivo filmante).
Legenda
1) Filtro
2) Dosatore polifosfato
3) Filmante antincrostante
4) Addolcitore
CONDIZIONANTI E RISANANTI CHIMICI
Tra i trattamenti previsti dal DPR 59/2009 c’è anche l’utilizzo di prodotti chimici utili per proteggere gli impianti di riscaldamento e mantenerli efficienti nel tempo. Questi prodotti si distinguono per due finalità, vale a dire prodotti protettivi, da inserire all’interno del circuito di riscaldamento prima della messa in funzione, e i prodotti di lavaggio, da far agire nell’impianto periodicamente.
I prodotti chimici protettivi hanno il compito proteggere e tutelare il circuito chiuso di riscaldamento dai danni provocati soprattutto dal deposito di sostanze e incrostazioni. Per questa tipologia di prodotti Pineco dispone di:
- Ecolisi: prodotto a base di bisolfito. E’ un filmante inibitore di corrosione e antincrostante, quindi ideale per proteggere gli impianti di riscaldamento tradizionali. Creando di fatto una pellicola sulla parete interna delle tubazioni, previene la corrosione, l’incrostazione e i fenomeni di elettrolisi ed ha inoltre un’azione degasante. Deve essere caricato 1 Kg di prodotto ogni 100 litri d’acqua contenuta nell’impianto.
- Antialga+: prodotto a base di sali di ammonio quaternario. E’ un anticorrosivo e antincrostante con componente biocida, quindi ha anche funzione antialga. Viene pertanto consigliato per gli impianti a bassa temperatura come quelli a pavimento. Anche in questo caso si carica 1 Kg di prodotto ogni 100 litri d’acqua.
Essendo prodotti utilizzati per prevenire effetti dannosi per l’impianto, devono essere ovviamente caricati in impianti nuovi, prima della messa in esercizio, oppure in uso dopo aver effettuato un apposito lavaggio.
I prodotti di lavaggio, invece, hanno il compito di rimuovere le incrostazioni ormai presenti e risanare il circuito chiuso di riscaldamento. Pineco dispone dei seguenti prodotti:
- Dispro+: prodotto a base di sale potassico. Permette la disincrostazione degli impianti a pavimento in uso da tempo, rendendo più solubile il calcare, portando in sospensione i sali disciolti, eliminando gli ossidi di ferro e la presenza delle microalghe. Deve essere caricato al 1-2% e lasciato circolare con impianto acceso per almeno 60 giorni. Alla fine scaricando il contenuto si rimuovono anche tutte le sostanze asportate.
- Ecofanghi: prodotto a base di sale trisodico. E’ un disincrostante e sequestrante fanghi. Ha dunque la particolarità di portare in sospensione i depositi di fango tipici degli impianti tradizionali vecchi. Va caricato al 1-2% e lasciato circolare con impianto acceso per almeno 2-3 settimane. Anche in questo caso alla fine si scarica il contenuto rimuovendo tutto lo sporco.
- Limpia+: anche questo è prodotto a base di sale potassico e permette la disincrostazione degli impianti. E’ tuttavia un prodotto da utilizzare per lavaggi rapidi, di conseguenza deve essere caricato al 1-2% e fatto circolare nell’impianto con una pompa di lavaggio esterna mediamente per 4 ore (dipende dal grado di incrostazione). Il Limpia è un prodotto che trova impiego anche per il lavaggio di impianti nuovi, al fine di eliminare residui di lavorazione, rimasugli di sostanze protettive, saldature, sfridi, ecc.
La legionella
La legionella è un batterio aerobico di cui sono state identificate più di 50 specie, quella più pericolosa, a cui sono stati collegati circa il 90% dei casi di legionellosi, è la Legionella Pneumophila. La legionella deve il nome all'epidemia acuta che nell'estate del 1976 colpì un gruppo di veterani della American Legion riuniti in un albergo di Filadelfia, causando ben 34 morti per polmonite su 221 contagiati.
Una polmonite da legionella non si distingue da altre forme atipiche o batteriche di polmonite, ma è riconoscibile dalle modalità di coinvolgimento degli organi extrapolmonari. In Italia sono stati registrati qualche centinaio di casi di legionellosi ogni anno, ma si ritiene che tale numero sia in realtà sottostimato, poiché a volte la malattia non viene diagnosticata. La malattia è letale nel 5-15% dei casi.
Ci si può ammalare di legionellosi solo respirando acqua contaminata diffusa in aerosol: condizione tipica di chi fa una doccia. Di conseguenza è bene ricordare che la malattia non si contrae bevendo acqua contaminata, in quanto il target sono i polmoni, e stando alle ultime indagini epidemiologiche, neppure per trasmissione diretta tra uomo e uomo.
I principali punti dell’impianto che rappresentano il luogo di maggior proliferazione batterica sono: serbatoi d’acqua, incrostazioni di calcare, docce e rubinetti, accumuli di acqua calda (20÷45°C), tubazioni con ristagno, depositi di biofilm, materiali in gomma e materiali sintetici.
In Italia il problema della legionellosi ha interessato nel 2013 ben 1.347 casi di infezione (Istituto Superiore di Sanità). Il 9,8% dei casi si sono verificati in strutture ricettive (alberghi, campeggi, ecc.) e il 4,6% in luoghi di cura. Da un'indagine condotta negli alberghi, è emerso che il 75% delle strutture esaminate presentava una contaminazione da Legionella nell’acqua calda sanitaria.
L’European Working Group for Legionella Infections (EWGLI) ha predisposto delle linee guida europee per il controllo e la prevenzione della legionellosi associata ai viaggi, offrendo procedure standardizzate per prevenire, identificare e notificare le infezioni da Legionella nei viaggiatori.
L’Istituto Superiore di Sanità ha predisposto delle linee guida per la prevenzione ed il controllo della legionellosi (Linee guida 2015) nelle quali vengono descritte le modalità di sorveglianza e le possibili strategie di intervento da attuare sia in ospedali e case di cura che in strutture comunitarie (alberghi, campeggi, piscine, ecc.):
corretta progettazione delle reti idriche, al fine di evitare zone di calma e di ristagno (p.es. rami ciechi)
decalcificazione delle tubazioni e un efficace sistema anti-incrostante, attraverso azioni preventive (polifosfato e addolcitore) per evitare la formazione di incrostazioni, o con azioni correttive (lavaggi) per rimuovere le esistenti esistenti, al fine di eliminare la possibilità di accrescimento del biofilm batterico.
sistemi di trattamento dell’acqua fisici o chimici, attraverso metodi di disinfezione per eliminare la carica batterica presente ed evitarne la formazione.
Come si può notare, un trattamento che presenta notevoli punti positivi e minime controindicazioni, è il dosaggio di perossido di idrogeno arricchito di ioni d’argento. Non a caso è un sistema che si sta rapidamente diffondendo per la sua efficacia e semplicità d’uso.
Questo prodotto agisce molto efficacemente sul biofilm provvedendo a demolire la sua parte proteica e ad inattivare i microrganismi (compresa la Legionella) penetrando in profondità.
L’effetto combinato dell’azione ossidante del perossido di idrogeno e dell’attività batteriostatica degli ioni d’argento, che inibiscono la ricrescita della carica batterica, rende la tecnica dell’utilizzo del perossido di idrogeno con ioni d’argento una soluzione estremamente valida, soprattutto se associata ad un’azione di prevenzione delle incrostazioni.
La soluzione al problema della prevenzione della legionellosi che Pineco ha elaborato prevede:
una filtrazione a 100 micron, per proteggere tutte le apparecchiature poste a valle
un addolcimento, per abbattere la durezza dell’acqua e quindi la possibilità di formazione delle incrostazioni di calcare
la stazione di dosaggio Pineco Dosing Pro, con dosaggio di polifosfato alimentare antincrostante (5ppm) e perossido di idrogeno con ioni d’argento disinfettante (15ppm).
Il Pineco Dosing Pro è una stazione di dosaggio multiplo, pre-assemblata su unico pannello, composta di:
pompa di dosaggio di polifosfato alimentare
pompa di dosaggio di perossido di idrogeno arricchito di ioni d’argento
combinatore GSM con allarme telefonico che si attiva in caso di malfunzionamento e consumo prodotti e avviso di controllo funzionamento